domenica 22 aprile 2018

Mori e le incongruenze italiane!

Mori e le incongruenze italiane!

Si dovranno leggere le motivazioni.
Ma già dal dispositivo, letto venerdì in aula dal presidente della Corte d'assise d'appello di Palermo Alfredo Montalto, viene fuori palesemente che qualcosa non torna.

Anzi, è più di qualcosa che non torna nelle condanne di boss e carabinieri per la presunta trattativa Stato-mafia per fermare le stragi nei primi anni '90.

L'anomalia più macroscopica riguarda il Ros e in primis il generale Mario Mori che lo guidava. Cosa dice il dispositivo?
Dice che il generale Mori, il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno, i vertici del Ros imputati in questo processo, sono condannati «limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993». Vanno invece assolti «per le condotte contestate come commesse successivamente al 1993».
Che vuol dire? Vuol dire che Mori e il Ros sono, secondo questa sentenza, colpevoli per i contatti con Vito Ciancimino nel tentativo di trovare un contatto per fermare l'onda stragista di Cosa nostra e per giungere alla cattura dei principali latitanti(mai contestati come reato, era il lavoro del Ros) e per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina (proprio loro che hanno catturato il superboss).
Ma per la mancata perquisizione del covo di Riina Mori e il capitano «Ultimo», proprio il carabiniere eroe che ha preso Riina, sono stati processati (il pm all'epoca era ancora Antonio Ingroia) e assolti.
L'accusa era favoreggiamento aggravato. Ed era stato addirittura lo stesso Ingroia, il padre del processo trattativa, a chiedere per loro l'assoluzione.
La sentenza è definitiva, ed è agli atti del processo trattativa che adesso per gli stessi fatti condanna.
Alla faccia del ne bis in idem, il principio secondo cui non si può essere processati due volte per gli stessi fatti.

Non torna nemmeno, per Mori e il Ros, l'assoluzione per le vicende successive al 1993 disposta da questa sentenza.
Il perché è presto detto. Mori e il colonnello Mario Obinu in questo caso, sono stati processati e assolti (la sentenza è definitiva, l'accusa era favoreggiamento aggravato) per la mancata cattura il 31 ottobre del 1995, di Bernardo Provenzano, che avrebbe partecipato a un summit in un casolare a Mezzojuso, nelle campagne di Palermo.
Ma quel processo non riguarda solo quell'episodio del 1995.
Nella smania di infilare la trattativa Stato-mafia ovunque, quel processo si è allargato anche al 1992 e al 1993.
In quel processo sono entrate le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il papello di Riina, il contropapello, insomma tutto quello che nel processo trattativa Stato-mafia è poi confluito nuovamente nell'accusa al generale Mori.
In quella sentenza c'è pure, a proposito dei contatti con Vito Ciancimino, l'elogio di Mori e del Ros per quella iniziativa «lodevole» e «meritoria».
Adesso, capo d'accusa diverso - la minaccia o violenza a corpo politico dello Stato - e fatti identici, persino i testimoni sono gli stessi, Mori viene invece condannato.
Per gli stessi fatti per cui era stato assolto, definitivamente.

I conti non tornano nemmeno con la condanna-assoluzione di Marcello Dell'Utri, che sembra disegnata apposta solo per tirare dentro Silvio Berlusconi.
Anche Dell'Utri è stato in parte assolto, come il Ros.
Ma per il periodo opposto: è innocente «per le condotte contestate come commesse nei confronti dei governi precedenti a quello presieduto da Silvio Berlusconi».
Colpevole, invece, per le condotte del 1994, quando il premier era appunto il Cavaliere.
Ma anche in questo caso c'è un'assoluzione definitiva.
La sentenza che condanna Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa assolve infatti l'ex senatore per i fatti successivi al 1992.
Questa sentenza invece, per le stesse vicende, lo condanna.

Infine Berlusconi, convitato di pietra citato in sentenza senza neppure essere imputato.
Che i pm puntassero a lui si era capito quando erano state introdotte agli atti le intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano, che nulla c'entravano con la trattativa.
Ora la sua citazione in sentenza.
E poi c'è l'assoluzione dell'ex ministro Mannino, i 200 documenti rifiutati alla difesa.
Anomalie, troppe.
E la verità su quegli anni, già sancita in sentenze definitive, viene stravolta.
G.I./CCxG/EP

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